L’etichettatura consiste nei termini, le diciture, i marchi di fabbrica o di commercio, le immagini o simboli figuranti su qualsiasi imballaggio, documento, cartello, etichetta, nastro o fascetta che accompagnano un dato prodotto o ad esso si riferiscono. ( Art. 57, lett. A Reg. 479/2008 e art. 2 par. 2 lett. J, Reg. 1169/2011)
Fra tutti gli alimenti e bevande soggette alle norme sull’etichettatura, un caso particolare è certamente rappresentato dal mondo del vino. I motivi di tale particolarismo sono da ascrivere in primo luogo alla specifica disciplina prevista tanto a livello nazionale quanto comunitario in materia, e in secondo luogo alla peculiarità del prodotto, che si presta a molte varianti anche del tutto atecniche che si sono consolidate con la tradizione, essendo il vino una bevanda tanto importante da essere entrata in pianta stabile nella cultura dei popoli che lo producono.
Sotto questo punto di vista, soprattutto in Italia, l’etichettatura assume un connotato ostativo e disturbante della libera espressione dei viticoltori, i quali sono soggetti a rigide regole che a volte sacrificano l’aspetto commerciale del prodotto. Infatti, sovente un imprenditore agricolo vorrebbe che l’etichetta fosse veicolo di arte, di valori famigliari, di storia aziendale o più semplicemente di gusto personale. Ma questo non può essere nella misura in cui non permette la corretta adesione alle norme che regolano l’etichetta, giacché sulla stessa determinate informazioni ci devono essere e non possono in alcun modo essere sacrificate.
La legge infatti ritiene che un consumatore abbia pienamente diritto a risposte chiare che devono necessariamente essere raggruppate in un unico campo visivo. Nello specifico, queste risposte si possono tradurre in sette domande che costituiscono i punti cardinali dell’etichettatura vitivinicola, ossia:
- Che vino è questo?
- Chi lo produce?
- In quale Paese?
- Quanto vino c’è in questo contenitore?
- Quanto alcool c’è in questo contenitore?
- Come faccio a sapere quando è stato confezionato questo vino?
- Sono presente allergeni?
A queste domande corrispondono dunque le sette indicazioni imprescindibili in un’etichetta destinata a contrassegnare una bottiglia di vino, ossia:
- Denominazione di vendita
- Indicazione dell’azienda imbottigliatrice
- Prodotto in Italia
- Il volume nominale
- La percentuale di alcool sul volume
- Il lotto
- Solfiti e altri allergeni
LA DENOMINAZIONE DI VENDITA. La denominazione di vendita indica quale prodotto è contenuto in bottiglia. Due sono le statuizioni fondamentali in tale materia: in primo luogo è fatto obbligatorio che tale indicazione sia disposta in caratteri almeno doppi rispetto alla sede dell’imbottigliatore. Inoltre, è da sottolineare che la norma detta disposizioni differenti a seconda che si tratti di un vino con denominazione d’origine/indicazione geografica o un vino varietale.
Ad esempio, indicazioni come “vino rosso”, “vino bianco”, “vino rosato” si possono usare solo laddove il prodotti in questione sia sprovvisto di DO (denominazione d’origine) o IG (indicazione geografica). Per quest’ultimi, infatti, non si adotta la denominazione generica “vino”, giacché si ritiene che la denominazione specifica sia già esauriente e che l’eventuale ulteriore indicazione del termine “vino” sarebbe obsoleta. In ogni caso in materia di utilizzo della denominazione “vino” fa stato quanto disposto dal Reg. 479/2008, il quale prevede che per poter utilizzare tale menzione una bevanda debba necessariamente essere prodotta attraverso la fermentazione alcolica totale o parziale di uve fresche, pigiate o no, o di mosti di uve; avere un titolo alcolometrico effettivo, per l’Italia, non inferiore a 9% vol, sia esso naturale o dopo l’eventuale arricchimento; avere un contenuto alcolometrico totale non superiore al 15% vol; avere un’acidità totale espressa in acido tartico non inferiore a 3,5 g/l.
Come visto, dunque, l’utilizzo della denominazione “vino” è utilizzata la maggior parte delle volte per indicare dei vini varietali. Per essi vi sono poi delle specifiche disposizioni allorché decidano di fregiarsi in etichetta dell’indicazione del vitigno e dell’annata. Questa evenienza è disciplinata dall’art. 63 del Reg. 607/2009 ed è in esso previsto che i vini varietali possono essere prodotti solo con uno dei sette vitigni elencati dall’allegato 4 del D.M. 13 agosto 2012. Tali vitigni sono tutti internazionali e sono i seguenti: Cabernet franc, Cabernet Sauvignon, Cabernet, Chardonnay, Merlot, Sauvignon, Syrah.
L’art. 60 del Reg. 607/2009 e l’art. 10 del D.M. 23 dicembre 2009 dettano poi ulteriori disposizioni in merito all’utilizzo di indicazioni descriventi il vino, quali frizzante/spumante, o dolce/amabile. In questo non è possibile prescindere da questioni prettamente enologiche: infatti, l’utilizzo di tali indicazioni dipende dal tenore di zuccheri residui presenti: si potrà indicare come “secco” il vino che abbia fino a 40 grammi di zuccheri residui per litro, “amabile” quello che ne abbia da 40 a 100g/l e “dolce” quello che ne abbia oltre i 100 g/l. Diversamente, per i vini frizzanti si indicherà come “secco” il vino che abbia residui di zucchero da 0 a 15 g/l, “abboccato” quello che ne abbia da 12 a 35 g/l, “amabile da 30 a 50 g/l e infine “dolce” quello che ne abbia più di 45 g/l.
Tutto quanto sino ad ora riportato in tema di denominazione è valido per i vini varietali. Disposizioni diverse operano allorché il vino in oggetto fosse una denominazione d’origine o un indicazione geografica. Quest’ultime sono nomi geografici identificanti una zona vinicola particolarmente vocata che sono state in grado di produrre vini le cui caratteristiche sono legate in tutto (DOP) o in parte (IGP) alle caratteristiche di tale territorio.
INDICAZIONE GEOGRAFICA O DENOMINAZIONE D’ORIGINE: AMARONE DELLA VALPOLICELLA
DICITURA PER ESTESO OVVERO DENOMINAZIONE D’ORIGINE CONTROLLATA (E GARANTITA) O INDICAZIONE GEOGRAFICA TIPICA: DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA E GARANTITA
EVENTUALE MENZIONE AGGIUNTIVA O SPECIALE O EVENTUALE MENZIONE DEL VITIGNO SE PREVISTO DAL DISCIPLINARE: RISERVA
Quello in tabella è un esempio di corretta indicazione della denominazione in etichetta. Altre volte può accadere che il vitigno sia integrato nella Denominazione stessa: in tali casi si opera come di seguito esemplificato:
Nome Doc NEBBIOLO D’ALBA
Dicitura per esteso DENOMINAZIONE D’ORIGINE CONTROLLATA
ATTENZIONE: L’indicazione del vitigno nella denominazione è possibile SOLO allorché esso sia integrato nella denominazione stessa. Diversamente si opera come segue:
Nome DOC GARDA
Dicitura per esteso DENOMINAZIONE D’ORIGINE CONTROLLATA
Vitigno CORVINA
Importantissimo ruolo nell’etichettatura lo riveste la misura del carattere. In materia vi sono delle regole rigidissime. Come già riportato all’inizio della trattazione sulla denominazione, è fatto assolutamente obbligatorio che indicazioni geografiche e denominazioni d’origine siano riportate in carattere almeno doppio rispetto all’indicazione della sede dell’imbottigliatore. Inoltre, l’eventuale menzione tradizionale o speciale quale “riserva”, “classico”, “superiore”, nonché il nome del vitigno, non devono essere di carattere maggiore rispetto alla denominazione. In materia molte volte dispongono i disciplinari di produzione allorché prevedano, per esempio, l’utilizzo dello stesso carattere, font e colore per coordinare denominazione e relative menzioni.
Vi sono poi casi particolarmente delicati: si fa riferimento a quelle situazioni ove l’imbottigliatore o produttore abbiano un cognome che sia uguale o richiami una denominazione, come ad esempio potrebbe essere il sig. Ugo Amarone. In questi casi il carattere utilizzato per il nome della denominazione deve essere quattro volte più grande del nome dell’imbottigliatore, che in ogni caso non può essere più alto di 3 millimetri e più largo di 2.
L’INDICAZIONE DELL’AZIENDA IMBOTTIGLIATRICE. L’art. 59 del Reg. 479/2008 dispone l’obbligo di indicare sempre l’imbottigliatore (o il produttore se si tratta di spumanti) in etichetta, ove, naturalmente, questo differisca dal produttore. Il motivo di questa scelta discende da ragioni di tutela del consumatore: infatti quest’ultimo deve poter facilmente individuare l’ultimo anello della catena produttiva, che, appunto, è l’imbottigliatore. Ove dovesse capitare che questo venisse chiamato in giudizio a rispondere di un danno causato dal prodotto venduto, sarà poi suo diritto, una volta risarcito il consumatore, rivalersi sul produttore in base al diritto di regresso.
Si badi bene che tale disposizione non integra il divieto di riportare in etichetta anche il produttore, bensì che l’indicazione del produttore è l’unica obbligatoria.
Si specifica, inoltre, che ove il vino dovesse essere importato è obbligatorio riportare non il nome dell’imbottigliatore, bensì quello dell’importatore, in conformità al principio poco sopra riportato della responsabilità dell’ultimo operatore della catena produttiva.
Per ragioni di brevità o semplificazione, è concessa la possibilità di indicare, in luogo del nome dell’imbottigliatore, il codice ICQRF (Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi) unitamente al comune di provenienza dell’imbottigliatore stesso.
Anche in quest’ultimo caso si può porre un delicato problema allorché il comune di provenienza dell’imbottigliatore è parte di un’indicazione geografica o di una denominazione d’origine. Anche in questa situazione, come visto per il caso di omonimia tra nome dell’imbottigliatore e denominazione, è previsto l’obbligo che il nome del comune sia scritto in caratteri non superiori ai 3 mm di altezza e 2 di larghezza e che la denominazione di vendita sia riportata in caratteri 4 volte superiori all’indicazione del comune di provenienza. In alternativa, si può liberamente usare il codice ICQRF, restando in questo caso libere le dimensioni.
Denominazione VINO ROSSO
Indicazione imbottigliatore Imbottigliato da Luigi Valpolicella
L’art. 3 del DM 13 agosto 2012 ha disposto che gli imbottigliatori possono fregiarsi di una serie di dizioni aggiuntive, per tutte le categorie di vini DOP e IGP. Nello specifico queste sono:
• imbottigliato dall’azienda agricola
• imbottigliato dal viticoltore
• imbottigliato all’origine da
• imbottigliato all’origine dalla cantina sociale
• imbottigliato all’origine dai produttori riuniti
• imbottigliato all’origine dall’associazione di produttori
Inoltre, sono ammesse le seguenti espressioni:
• imbottigliato nella zona di produzione
• imbottigliato in “seguita dal nome DOP o IGP”
Tutte le espressioni sopra menzionate possono possono essere completate dalla dicitura “integralmente prodotto”, a condizione che il vino sia ottenuto da uve raccolte esclusivamente in vigneti di proprietà dell’azienda e vinificate nella stessa.
PRODOTTO IN ITALIA. Il Paese di provenienza del vino, a norma dell’art. 55 Reg. 607/2009, è uno dei requisiti imprescindibili e che non possono mai mancare nell’etichetta di un vino. Mentre, infatti, il comune, la sede dello stabilimento e l’imbottigliatore possono essere sostituiti mediante l’apposizione del codice ICQRF, l’indicazione dello Stato di provenienza non può mai mancare e deve essere posta in maniera chiara e ben visibile mediante l’utilizzo di diciture quali “vino di..” o “prodotto in..”.
Può accadere che il vino provenga da più Paesi dell’Ue, e in tali casi si riporta “vino della Comunità europea” o “miscela di vini di diversi Paesi della Comunità europea”. Diversamente se il vino proviene da Paesi extra UE la dicitura corretta è “miscela di diversi Paesi non appartenenti alla Comunità europea” o “miscela di vini di…” completata dai nomi dei Paesi di provenienza.
Si specifica inoltre che un’unica menzione della parola “Italia” non esaurisce gli obblighi dell’imprenditore, giacché la stessa può riferirsi al semplice stabilimento dell’imbottigliatore. Occorre pertanto un’indicazione di dove le uve sono state raccolte e vinificate o da che Paesi provengono le miscele di cui il vino è risultato. In conclusione, quindi, il più delle volte la parola “Italia” è riportata due volte in etichetta, l’una per la sede dell’imbottigliatore (anche se sostituibile con il codice ICQRF), l’altra per la provenienza del vino.
Merita una breve dissertazione altresì la lingua con la quale le indicazioni devono essere espresse. Infatti, l’art. 61 del Reg. 479/2008 prevede la possibilità di riportarle in una o più lingue ufficiali dell’Unione Europea, salvo però disporre l’obbligo imperativo di riportare la DO o l’IG nella lingua vigente del territorio in cui è collocato il prodotto protetto. Questa regola legata con le disposizioni di cui al Reg. 1169/2011 fornisce il seguente risultato: per vini prodotti e commercializzati in Italia si deve scrivere l’etichetta in italiano e si può aggiungere altre lingue; per i vini destinati alla commercializzazione all’estero tutte le indicazioni possono essere riportate in altre lingue salvo l’obbligo del DO e IG in italiano.
IL VOLUME NOMINALE. Il volume nominale è la quarta indicazione obbligatoria in etichetta e la legge prevede la possibilità di esprimerlo alternativamente in litri, centilitri o millilitri, espresse in maniera categorica e inderogabile attraverso gli acronimi “l”, “cl”, “ml”. Tale indicazione deve essere riportata in carattere più o meno grande a seconda della quantità presente: 6 mm di altezza è la minima consentita in caso di contenuto superiore a 100 cl, 4 mm se inferiore a 100 cl e superiore a 20 cl, 3 mm se inferiore a 20 cl e superiore a 5 cl e infine 2 mm se il contenuto è inferiore a 5 cl.
L’utilizzo del simbolo di stima (℮), che deve essere nello stesso campo visivo della quantità in carattere di almeno 3 mm di altezza attesta che il produttore dell’imballaggio ha rispettato le modalità di controllo metrologiche previste per la misurazione delle quantità nominali. Questo dunque rileva ai fini dell’autenticità di quanto riportato in sede di volume nominale, sebbene, va specificato, non sempre ci deve essere una perfetta conformità tra quanto dichiarato e quanto effettivamente presente all’interno della bottiglia. Ci sono infatti delle soglie di tollerabilità, giustificabili, per esempio, da una minima evaporazione del prodotto in bottiglia. Tali limiti sono rappresentati dal 3% nelle bottiglie di meno di 500 ml, da 15 ml nelle bottiglie che da 0,75 a 1 litro e dall’1,5% nei contenitori con capacità superiori.
I seguenti sono esempi di volume nominale da riportare in etichetta, tutti corretti:
- 750 ml ℮
- Contenuto 750 ml ℮
- Net content 750 ml ℮
- Cont. 75 cl ℮
- Net. Cont. 75 cl ℮
LA PERCENTUALE DI ALCOOL SUL VOLUME. Il vino è una bevanda che riveste un’importanza quasi ineguagliata nel mondo agroalimentare, giacché esso, oltre a essere bevanda antichissima, ha migliaia di diverse connotazioni che si traducono in diversi gusti, colori, volumi alcolometrici e altre caratteristiche a seconda del luogo in cui esso è prodotto. Da questa peculiarità derivano due esigenze tra di loro contrapposte cui il legislatore ha dovuto far fronte: se da un lato, infatti, emerge in modo preponderante l”esigenza di tutelare la specificità di ogni vino in quanto espressione culturale di un territorio, dall’altro si pone la questione di reprimere il consumo di un alcolico in maniera eccessiva. Da qui discende la necessità di inserire tra le indicazioni obbligatorie dell’etichetta la percentuale di alcool sul volume del vino contenuto nel recipiente. L’art. 54 del Reg. 609/2009 prevede l’obbligo di far seguire al volume del titolo alcolometrico ( che può essere alternativamente espresso con “titolo alcolometrico effettivo”, alcool effettivo” o “alc.”) il simbolo “% vol.”.
Anche in questo caso i caratteri con cui queste indicazioni devono essere presenti variano a seconda della percentuale di alcool effettiva:
- minimo 5 mm se il volume nominale è superiore a 100 cl;
- minimo 3 mm se il valore nominale è pari o inferiore a 100 cl e superiore a 20 cl;
- minimo 2 mm se il valore nominale è pari o inferiore a 20 cl;
Va da sé che la “ratio” di tale norma derivi dal fatto che a una bottiglia più grande corrisponde la necessità di un più grande carattere.
In caso di mancata conformità tra il volume alcolometrico indicato e quello effettivo il produttore incappa in ipotesi di frode, per cui passabile di processo e conseguente sanzione penale. La norma prevede una tolleranza minima per quanto attiene a questa indicazione che è pari allo 0,5%. La soglia sale allo 0,8% per i vini DO e IG invecchiati in bottiglie per oltre tre anni, i vini spumanti, i vini spumanti di qualità, i vini spumanti gassificati, i vini frizzanti, i vini frizzanti gassificati, i vini liquorosi e quelli da uve stramature.
La norma prevede solamente l’obbligo di inserire il volume alcolometrico effettivo: per quanto attiene invece al titolo alcolometrico totale non sussiste invece alcuna imposizione, stando alla discrezionalità del produttore la scelta se inserirla o meno. Si precisa che la differenza tra le due indicazioni si estrinseca nel fatto che il volume alcolometrico totale esprime il potenziale alcolico che si realizzerebbe con la completa fermentazione degli zuccheri residui. Essa è dunque un’indicazione che il più delle volte non viene riportata.
IL LOTTO. Il lotto indica un insieme di unità di vendita di bottiglie prodotte o confezionate in circostanze praticamente identiche. Nel caso degli spumanti metodo classico esso indica il momento della sboccatura, che coincide a quando viene materialmente effettuato l’ultimo omogeneo intervento su una partita di bottiglie. Ognuno di questi insiemi di unità di vendita viene identificata da un codice di lotto che può essere scelto dall’imbottigliatore (o produttore) ed è apposto sotto la sua responsabilità.
Quanto detto sopra fa del lotto un’indicazione cruciale giacché esso si rivela fondamentale ai fini della rintracciabilità del prodotto. A differenza delle altre indicazioni sopra analizzate il lotto non è soggetto a stringenti norme in ordine all’anno o al mese dell’imbottigliamento, essendo l’unica regola imprescindibile l’univocità dell’indicazione. Ai fini del lotto è dunque sufficiente che la combinazione tra numero o codice alfanumerico usati per indicare il lotto, e tipologia di vino indicato in etichetta permettano di poter risalire ad una data di imbottigliamento e ai registri dove la partita e le bottiglie sono stati indicati.
Si specifica, infine, che il lotto si manifesta come un codice alfanumerico, sovente preceduto dalla lettera “L”.
SOLFITI E ALTRI ALLERGENI. L’ultima ma non meno importante indicazione che deve necessariamente essere presente in un’etichetta di vino è quella relativa agli allergeni. Infatti, la menzione in primo piano dei soli solfiti è dovuta al fatto che questi si formano naturalmente nel vino, a nulla rilevando, quindi, che ci siano state o meno delle addizioni.
Non sempre, però, sussiste l’obbligo di indicare i solfiti, giacché anche in questo caso la legge prevede dei limiti di tollerabilità: se le analisi chimiche indicano una presenza di anidride solforosa pari o superiore a 10 mg, allora scatta l’obbligo.
Tale soglia di tollerabilità è prevista per i soli solfiti, dal momento che l’eventuale presenza di altri allergeni quali derivati di uova o latte deve essere indicata obbligatoriamente a prescindere dalla quantità degli stessi. In materia, inoltre, un’attenta analisi della norma non permette di poter affermare l’esistenza di alcun obbligo in ordine all’indicazione della quantità dell’allergene presente, stante dunque tale aspetto alla discrezione dell’imbottigliatore, il quale, però, se ne assume la responsabilità in caso di difformità tra quanto indicato e quanto effettivamente presente.
Quanto all’aspetto grafico la norma prevede l’obbligo che tale indicazione sia preceduta dal verbo “contiene”, espresso in una o più lingue dell’UE. Quanto al carattere nulla statuisce la norma, sebbene l’obbligo generale di un’indicazione chiara porti a ritenere che l’altezza dello stesso non possa essere inferiore a 2mm.
La forma di cui sopra argomentato può essere sostituita da uno dei pittogrammi messi a punto dall’Unione Europea, che sono i seguenti:
Infine si precisa che l’omessa indicazione di solfiti o altri allergeni in etichetta configura una responsabilità ben più grave rispetto all’omissione di altre indicazioni, poiché tale mancanza può determinare dei gravi danni alla salute delle persone sensibili che, non vedendo indicazioni sugli allergeni, legittimamente ne postulano l’assenza. In tali casi dunque si incorre non solo in sanzione derivate da una scorretta etichettatura, ma soprattutto ci si espone a delle significative conseguenze risarcitorie che possono assumere proporzioni ingenti.